Manutenzione straordinaria per bicicletta "italiana" Chater Lea d'importazione del 1913 e ossequi al primo proprietario, fiero possessore di questo antico ferro, in uso a tempi lontanissimi sulle strade sterrate del Monferrato.
Pedivelle lunghe 175 mm, a due bracci e tre bulloni; morsetto reggisella ad espansione:
Freno posteriore a fascetta italiano Zanfi, con tiraggio centrale:
Ruote 28 5/8 (700 C) con mozzi Chater Lea a 32-40 raggi; telaio plongée con foderi a "D", che forse si può definire Path Racer ovvero telaio da pista utilizzato per allestire una bicicletta turistica corsaiola.
Pedali originali Chater Lea a centro intero:
Freno a tampone originale con molla interna alla forcella:
Non sono mai stato amante della ri-verniciatura, poi con il tempo e tante biciclette che mi è stato chiesto di verniciare, ho ripreso a considerare la vernice al pari degli altri componenti, da restaurare prioritariamente in maniera conservativa oppure parziale/totale nei casi difficili, con tecniche, strumenti, prodotti e risultati vari e variabili. Questo telaio era stato in passato sverniciato e riverniciato a pennello pesante in tinta d'italico tricolore, dal nipote del proprietario, sopra un ferro buono, ma anziano e rugoso. Quando portai a casa questa bicicletta, sverniciai completamente: negli anni, a forza di osservarla, studiarla e confrontarla con altre, ho maturato l'ipotesi che la tonalità grezza marrone-ferro non rendesse merito e risalto alle caratteristiche ed alle linee di telaio e forcella sopraffini. Verniciatura nera anticata, con fondo rosso tipo minio:
Siamo quì nella ampia categoria di biciclette straniere d'esportazione per l'Italia, nei primi decenni del '900, forse talvolta o quasi sempre prodotte in Italia, a partire da tubi, congiunzioni e componenti. Si vedano ad esempio il reggisella ad espansione italiano Tribuzio montato su questa bicicletta e la marchiatura poliglotta della corona originale:
Per quanto sia possibile rimettere in ordine biciclette così vecchie, la presenza di ricambi fuori standard e l'usura ultrasecolare richiedono spesso interventi di ciclomeccanica impegnativi e/o creativi, ma anche talvolta lo scrupolo di non intervenire affatto. Per quanto tutto possa tornare in buona forma e la bicicletta pedalabile, spesso mi viene da sconsigliarne l'utilizzo sportivo intenso; sinceramente prefersico vederle come antiquariato, saperle ben in ordine di meccanica, goderle per tranquille passeggiate, non imprese cicloturistiche. Fare una passeggiata col bis-nonno è una suggestione molto piacevole, invitarlo a giocare al pallone potrebbe non essere una buona idea. Il discorso è certamente ribaltabile in caso di biciclette ri-allestite con l'attenzione più rivolta all'utilizzo in sicurezza che all'originalità minuziosa oppure in presenza dei tanto ambiti "conservati strepitosi".
Mozzi a calotte registrabili, sostanzialmente identici ad un movimento centrale: è senza dubbio impagabile aprirli, controllare la salute dei componenti, revisionarli e sentirli scorrere "puliti"; si consideri tuttavia, prima di agire, che a smontarli si possono rianimare crepe sopite o farne di nuove, ritrovandosi poi con la necessità di trovare ricambi di raro reperimento. Mozzi di oltre cent'anni posso presentare usura in vari punti, talvolta girano più stabili da conservati che non interamente revisionati, quando si vanno a rimuovere "i sigilli" del grasso antico, divenuto cartilagine. In ogni caso, è decisamente più agevole lavorare sulle calotte, per svitarle e avvitarle, su ruota raggiata, così come per svitare una ruota libera.