Questa è la storia di una soffitta, no. Anzi, questa è la storia d’un ritorno e d’una nuova casa.
D’una casa che ha anche una soffitta. Ad ogni modo questa è soprattutto la storia d’una bicicletta.
Quando mi diedero le chiavi di questa casa ancora non ci credevo, la casa è davvero enorme e vuota e camminandoci dentro sento i miei passi rimbombare.
Mi avevano detto che la casa aveva anche una soffitta, ma la vecchia inquilina non aveva consegnato più le chiavi o una roba così. Io intanto continuo ancora a camminare, assaporando il parquet che scricchiola sotto le suole e la sua eco. Soffitta. Già. Io amo le soffitte, meglio se abbandonate ed ingombre d’immondizia. Di cose polverose che qualcuno, reputandole inutili o inservibili, ha abbandonato ad un destino di discarica. Se hai mai chiesto alla polvere puoi sapere che a volte risponde, regalando sorprese che arrivano da un passato talmente remoto che si può solamente fantasticare. Ricordo anche di quando con gli amici si narrava di ritrovamenti in soffitte sgombrate, di quando qualche vecchietto davanti alla classica domanda: “Ma dove l’hai trovata ‘sta bici?!” mi rispondeva: “Mah…in una soffitta” oppure “In solaio, era del mio nonno-bis”.
Io, che in soffitta al massimo c’ho trovato solo qualche disco di grammofono oppure una vecchia scala, m’incazzavo sempre. Contro la sorte, contro le case senza soffitte o quelle con le soffitte chiuse a chiave da ’48. Ma chiedevo alla polvere da un bel pezzo.
Così sulla mensola accanto al contatore trovo tre vecchie chiavi, di quelle proprio vecchie e grandi, al limite del tascabile, ed i miei occhi s’illuminano, già solo per le chiavi.
Perché sono vecchie. Perché sono proprio belle.
Poi le sinapsi partono ed alla mente affiora l’immagine della porta delle soffitte, della toppa della serratura. Esco di casa e mi fiondo alle soffitte, che sono proprio accanto sul pianerottolo, senza neanche tirarmi dietro la porta.
Lì davanti mi rigiro le chiavi nella mano, continuando a chiedere, a sperare. E’ la seconda a far girare la serratura. Accendo la luce e mi si presenta un lungo corridoio con vecchie porte in legno speculari. Chiusa. Chiusa. Chiusa. Lucchetto. Chiusa. Ne trovo una aperta. Entro. Un sacco di porcheria. Scarponi da sci, specchi, cestini di vimini. La roba più vecchia avrà al massimo vent’anni. Un po’ triste esco e continuo a saggiare le porte. Ce n’è un'altra senza lucchetto socchiusa, c’è solo la sua vecchia serratura. Vecchie serrature…
Spingo la porta, speranzoso. Davanti a me si apre un grosso sottotetto quasi vuoto, solo qualche cavalletto ed i pezzi d’un mobile dai decori liberty. Mooolto vecchio… C’è un lucernaio sul tetto.
E’ sera e la luce flebile e timida si riflette su un cerchietto tondo, alla mia destra, tingendosi di rosso.
Una gemma.
Di più, una gemma su un vecchio parafango bianco che si finisce aprendosi in un aletta.
Un parafango Amerio?!?
Il cuore inizia a spingermi forte il torace.
Un parafango che abbraccia una ruota.
Una ruota montata su una bici!
C’è una bici!
L’ho trovata…la mia prima bici trovata in una soffitta! Cazzarola!
Mi avvicino piano, quasi con soggezione. E’ una bici da uomo. Da passeggio. A bacchetta. No, aspetta, non è a bacchetta, non ci sono le leve. Contropedale. Guardo il mozzo dietro, ma è buio e non si vede niente. Mi faccio luce con l’accendino. No, il mozzo è molto grande ed ha l’ingrassatore, sembra molto vecchio, ma non è un contropedale. Iniziano a mancare i pezzi…porcazozza! La passo al microscopio. Manubrio-telaio-corona-pedivelle-pedali-ruote-parafanghi. Ha delle bellissime farfalle a serrare le ruote. Pedali originali. Sul telaio c’è un adesivo, uno scudetto con su scritto “Cicli 1941”, almeno sembra… Polvere, un dito di polvere ovunque. Guardo il canotto, voglio la marca…Cicli…Cicli …Ita..a. Itala?! Ci passo su leggermente un dito, c’è un sacco di polvere, sorrido, soffio. Chiedi alla polvere. Penso a Fante. Sorrido…Cicli..Boh! Non si capisce perché la scritta s’è mezza cancellata.
Mi fermo. Accendo una sigaretta e sto lì dieci minuti buoni a guardarla…fantasticando.
E tu da dove arrivi? Chissà quanta strada hai fatto. Forse qualcuno t’ha comprata con un sacco di sacrifici per poter andare più comodamente a lavoro. Forse hai vibrato sotto il fragore sordo delle bombe e chissà quante scale hai fatto appoggiata alle spalle del tuo proprietario per andare al sicuro, dentro casa.
E poi t’avranno venduta e rivenduta arrangiata finché non hai trovato un padrone che, anche lui è riuscito a comprarsi a cambiali la seicento e t’ha abbandonata qua. Sola. Per tutti questi anni.
Ma ciao! Per quanto tempo hai aspettato che qualcuno ti trovasse!
Io. Hai trovato me. Chiamiamolo caso. Fattostà che t’è andata bene. Io t’ho trovata e prometto che ti pulirò dalla polvere, che toglierò quella fastidiosa ruggine, t’ingrasserò a dovere e ti regalerò un paio di scarpe nuove. Ti farò vedere che lì fuori c’è ancora un mondo. Forse un po’ diverso da come lo ricordi tu. Senza più tutti quei ciottoli, quella terra ed il fango. Senza il coprifuoco. Con un sacco di scatole di lamiera che puzzano e corrono così veloci che non immagini neanche; ma fatto anche di belle strade lisce e silenziose, fiancheggiate da alberi, che non aspettano altro di essere pedalate.
Le Jim
D’una casa che ha anche una soffitta. Ad ogni modo questa è soprattutto la storia d’una bicicletta.
Quando mi diedero le chiavi di questa casa ancora non ci credevo, la casa è davvero enorme e vuota e camminandoci dentro sento i miei passi rimbombare.
Mi avevano detto che la casa aveva anche una soffitta, ma la vecchia inquilina non aveva consegnato più le chiavi o una roba così. Io intanto continuo ancora a camminare, assaporando il parquet che scricchiola sotto le suole e la sua eco. Soffitta. Già. Io amo le soffitte, meglio se abbandonate ed ingombre d’immondizia. Di cose polverose che qualcuno, reputandole inutili o inservibili, ha abbandonato ad un destino di discarica. Se hai mai chiesto alla polvere puoi sapere che a volte risponde, regalando sorprese che arrivano da un passato talmente remoto che si può solamente fantasticare. Ricordo anche di quando con gli amici si narrava di ritrovamenti in soffitte sgombrate, di quando qualche vecchietto davanti alla classica domanda: “Ma dove l’hai trovata ‘sta bici?!” mi rispondeva: “Mah…in una soffitta” oppure “In solaio, era del mio nonno-bis”.
Io, che in soffitta al massimo c’ho trovato solo qualche disco di grammofono oppure una vecchia scala, m’incazzavo sempre. Contro la sorte, contro le case senza soffitte o quelle con le soffitte chiuse a chiave da ’48. Ma chiedevo alla polvere da un bel pezzo.
Così sulla mensola accanto al contatore trovo tre vecchie chiavi, di quelle proprio vecchie e grandi, al limite del tascabile, ed i miei occhi s’illuminano, già solo per le chiavi.
Perché sono vecchie. Perché sono proprio belle.
Poi le sinapsi partono ed alla mente affiora l’immagine della porta delle soffitte, della toppa della serratura. Esco di casa e mi fiondo alle soffitte, che sono proprio accanto sul pianerottolo, senza neanche tirarmi dietro la porta.
Lì davanti mi rigiro le chiavi nella mano, continuando a chiedere, a sperare. E’ la seconda a far girare la serratura. Accendo la luce e mi si presenta un lungo corridoio con vecchie porte in legno speculari. Chiusa. Chiusa. Chiusa. Lucchetto. Chiusa. Ne trovo una aperta. Entro. Un sacco di porcheria. Scarponi da sci, specchi, cestini di vimini. La roba più vecchia avrà al massimo vent’anni. Un po’ triste esco e continuo a saggiare le porte. Ce n’è un'altra senza lucchetto socchiusa, c’è solo la sua vecchia serratura. Vecchie serrature…
Spingo la porta, speranzoso. Davanti a me si apre un grosso sottotetto quasi vuoto, solo qualche cavalletto ed i pezzi d’un mobile dai decori liberty. Mooolto vecchio… C’è un lucernaio sul tetto.
E’ sera e la luce flebile e timida si riflette su un cerchietto tondo, alla mia destra, tingendosi di rosso.
Una gemma.
Di più, una gemma su un vecchio parafango bianco che si finisce aprendosi in un aletta.
Un parafango Amerio?!?
Il cuore inizia a spingermi forte il torace.
Un parafango che abbraccia una ruota.
Una ruota montata su una bici!
C’è una bici!
L’ho trovata…la mia prima bici trovata in una soffitta! Cazzarola!
Mi avvicino piano, quasi con soggezione. E’ una bici da uomo. Da passeggio. A bacchetta. No, aspetta, non è a bacchetta, non ci sono le leve. Contropedale. Guardo il mozzo dietro, ma è buio e non si vede niente. Mi faccio luce con l’accendino. No, il mozzo è molto grande ed ha l’ingrassatore, sembra molto vecchio, ma non è un contropedale. Iniziano a mancare i pezzi…porcazozza! La passo al microscopio. Manubrio-telaio-corona-pedivelle-pedali-ruote-parafanghi. Ha delle bellissime farfalle a serrare le ruote. Pedali originali. Sul telaio c’è un adesivo, uno scudetto con su scritto “Cicli 1941”, almeno sembra… Polvere, un dito di polvere ovunque. Guardo il canotto, voglio la marca…Cicli…Cicli …Ita..a. Itala?! Ci passo su leggermente un dito, c’è un sacco di polvere, sorrido, soffio. Chiedi alla polvere. Penso a Fante. Sorrido…Cicli..Boh! Non si capisce perché la scritta s’è mezza cancellata.
Mi fermo. Accendo una sigaretta e sto lì dieci minuti buoni a guardarla…fantasticando.
E tu da dove arrivi? Chissà quanta strada hai fatto. Forse qualcuno t’ha comprata con un sacco di sacrifici per poter andare più comodamente a lavoro. Forse hai vibrato sotto il fragore sordo delle bombe e chissà quante scale hai fatto appoggiata alle spalle del tuo proprietario per andare al sicuro, dentro casa.
E poi t’avranno venduta e rivenduta arrangiata finché non hai trovato un padrone che, anche lui è riuscito a comprarsi a cambiali la seicento e t’ha abbandonata qua. Sola. Per tutti questi anni.
Ma ciao! Per quanto tempo hai aspettato che qualcuno ti trovasse!
Io. Hai trovato me. Chiamiamolo caso. Fattostà che t’è andata bene. Io t’ho trovata e prometto che ti pulirò dalla polvere, che toglierò quella fastidiosa ruggine, t’ingrasserò a dovere e ti regalerò un paio di scarpe nuove. Ti farò vedere che lì fuori c’è ancora un mondo. Forse un po’ diverso da come lo ricordi tu. Senza più tutti quei ciottoli, quella terra ed il fango. Senza il coprifuoco. Con un sacco di scatole di lamiera che puzzano e corrono così veloci che non immagini neanche; ma fatto anche di belle strade lisce e silenziose, fiancheggiate da alberi, che non aspettano altro di essere pedalate.
Le Jim
4 commenti:
...poesia per malati di ruggine "malàve d'là ruso".
Bravo Le Jim
Senza parole.
Non vedo l'ora di vedere le foto del prima... e del dopo.. :-)
livio
Se cliccate sul mio nome c'è un link al mio Flickr per guardare le foto di com'è adesso...
Per il dopo ci vorrà un attimo...
Jim
emozionate davvero ... è bello trovare qua sulla rete gente colpita dal mio medesimo morbo..
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