venerdì 14 novembre 2008

monsieur Lagriffe

d'umili origini, monsieur Lagriffe fu uomo di commercio. elegante e raffinato, quanto abile a manipolare affari d'ogni sorta. per lui era importante la dignità, tanto nelle tenzoni di moneta, quanto nello svago domenicale. beveva anice, nei giorni di festa. seduto al tavolino d'un locale liberty sul boulevard parigino. è l'inizio del '900 e con sofisticata postura, ammira nobili fanciulle di pizzi e stoffe vaporose. l'attenzione vola sulla lezione d'un quotidiano per lui straniero:

"L'automobile non ha ucciso la bicicletta: l'ha resa invece più popolare, o meglio, alla portata di tutti. Così gli adoratori della 'piccola regina' sono ormai innumerevoli. Ecco perché, aderendo ad un desiderio da molti espressoci, diremo quì succintamente dell'arte di viaggiare in bicicletta. Ed ecco appunto la linea che divide, non diremo il buono od il cattivo ciclista, ma colui che comprende bene l'arte di servirsi di una bicicletta e colui che l'usa assai malamente. E' la mania d'imitare i corridori che fa più numerosa la seconda categoria. Come in tutte le cose c'è il giusto mezzo anche nell'arte di andare in bicicletta. Il male si è che l'apprendere a stare in bicicletta è tanto facile, da improvvisare gli insegnanti; i quali poi s'accontentano di aiutare l'allievo a mantenersi in equilibrio come può sulle due ruote e a spingere bene o male (anzi piuttosto male che bene) sui pedali. Bisogna quindi che il ciclista osservi molto e molto impari anche da sé." da LA STAMPA SPORTIVA, 1903

è giunta l'ora, per monsieur Lagriffe, di domare un velocipede di pregio!

martedì 11 novembre 2008

prima della crisi

è indubbio, i veneti ci han sempre saputo fare con le biciclette. légnano duro, come si suol dire. anzi Legnano! furono anni di splendore per il panorama ciclistico e quì davide ci presenta un conservato superlativo, d'una bicicletta del 1927 solida e raffinata. roba lombarda che nasce dall'esperienza produttiva di Emilio Bozzi, già temprato dalla storia Wolsit ventennale insieme a Franco Tosi. mancano ancora due anni alla crisi del '29, ma questo lo sappiamo noi, oggi. quì ancora quel che conta è competere con gli altri costruttori a suon di dettagli e qualità. con la firma dell'epoca, i preziosi parafanghi a schiena d'asino

prego cicloamici, ammiriamo insieme la particolarità dei forcellini posteriori e delle guide per i freni!

da ultimo, per chiudere in bellezza, davide ci mostra la particolarità della freneria posteriore che parte interna! grazie mille ad alberto, per il report fotografico

domenica 9 novembre 2008

uh, DEI!

sabato mattina, consueto sonno indelebile sugli occhi. porta palazzo! appena arrivato scorgo in lontananza un bel paio di pedali in alluminio, mai visti prima. mi avvicino. è una Umberto Dei. la esamino rapidamente: sembra una Superleggera degli anni '60. da donna. faccio appena in tempo a tirar fuori la macchina fotografica, rubo l'immagine, sperando che venga a fuoco. ed ecco che si avvicina il proprietario con lucchetto alla mano e poche secche parole. "meglio che la lego, va". ottima scelta, ci son banditi nei paraggi!

mercoledì 5 novembre 2008

rosa

rosa. delicata come il nome di chi l'ha portata per anni. scrive lorenzo, autore di questo appassionato restauro. se pedalarla agli antichi splendori regala gioia autentica a chi ci ha sudato per mesi, conoscerne la storia è ancor più emozionante, per lui e per noi. racconti del cicloamico in questione, meglio di qualunque interpretazione, descrivono il fascino di questa signora

perchè chi guidava questa bici, persona che oramai non c'è più, era molto amata per la sua grande bontà. Il figlio, che ha l'eta di questa Bianchi ed è ora buon padre di famiglia, del quale ho sposato la figlia, era solito "essere trasportato" su questo mezzo sulla strada per l'asilo. Lui mi ha detto: "In quel tempo, per rendere più comodo il viaggio, era stato costruito un asse di legno a mo' di pedana da incastrare nella canna centrale, sul quale stavo in piedi... mi sa che è finita nella stufa poco tempo fa". Questa bici porta i segni di chi la usava come unico mezzo di locomozione. I mozzi, i coni e la scritta Bianchi sbiadita sulla pedivella dal pedalare incessante ne sono il segno. Per decenni ferma su un fienile, ora è stata rimessa a nuovo e soprattutto in funzione! Alcuni segni dell'utilizzo sono rimasti, sul carter, sul manubrio e da altre parti. Ma è giusto così... perchè Rosa è nell'essenza di questa bici.


a testimoniare l'importanza della memoria, il lavoro di restauro è stato lungo e attento. completamente smontata e ripulita. le cromature sono state rifatte, così come la verniciatura ed i filetti curati a mano. è completamente originale, arricchita con una sella Brooks B18, replica di un modello del 1905, manopole in legno di bossolo e qualche altro accessorio d'epoca. per il resto, ha dei pedali Way Assauto nuovi dell'epoca, gruppo luce Radius B67, fanalino posteriore in vetro ed un bellissimo campanello anni 30, dal suono cristallino. come una goccia di fresca rugiada, sui petali d'una Rosa

lunedì 3 novembre 2008

a garganella

queste vecchie biciclette portano a conoscere persone interessanti. come quel tale che mi fermò per strada, offrendomi addirittura cinque soldi per un fanale Radius. detto che ebbi "ci penso", pensato che ebbi "cercalo altrove", iniziammo a parlare di biciclette. gli piacevano i campanelli a gargannella. anche a me piacciono le vecchie biciclette, tantissimo, ma non so se a garganella. un giorno ho trovato un bel campanello, detto a raganella, ovviamente non funzionante. l'ho smontato, ho imprecato il giusto e alla fine ha funzionato. bellissimo, ma ancora non so dire se mi piace proprio a garganella. ho assorbito un copioso sorso di uva fermentata, per festeggiare, a garganella, ma il suono non è cambiato più di tanto. però l'ho montato su una vecchia bicicletta e sono uscito a scampanellare in giro. gustosissimo! aveva ragione quel tale, con garganella intendeva proprio garganella, non travisando raganella. ognuno ha le sue preferenze sullo stile di degustazione di cibi, bevande e biciclette. assaporatele a vostro piacere, gustatene l'eleganza e la spensieratezza. riportatele in strada e suonate il campanello! ciclogastronomia d'altri tempi

mercoledì 29 ottobre 2008

bestie

sono una bestia. quella domenica mattina mi sveglio riposato, così per attivare l'energia propizia a discorsi contrattuali. sì, sono proprio una bestia. questa la porto a casa per ricambi, penso. monta pezzi vecchi, cerchi stretti in ferro, pedali in ferro, manubrio roller, mozzi a chiocciole regolabili con oliatore ad elmo. parafanghi a schiena d'asino, che differiscono da quelli a dorso di mulo giusto perchè quest'ultimo è di seconda generazione, di padre asino! calza a pennello. qualcuno potrebbe anche sostenere che i primi siano, perlomeno nell'immaginario collettivo, grigi, mentre i secondi marroni, di ruggine. in realtà tutto sta all'arbitrio della genetica di umidi decenni. bene, porto a casa la ferraglia, un po' incazzato perchè l'hanno sabbiata interamente, senza smontare nulla. inizio a pettinarle il crine, giusto per non sentirla oltremodo cigolare. cribbio! che è 'sta scritta U.D. punzonata sul telaio? uh, tutte le parti bianche son marchiate Ciclo Italia! e pure 1923. peccato che il nichel se l'è portato via la sabbia. sono una bestia e qualcuno l'è stato prima di me. povera bicicletta. cambio prospettiva, questa me la ingrasso per benino! l'occasione è ghiotta. biada, per un cicloappassionato da soma. m'immergo negli anni 20 e scopro un velocipede voluminoso, almeno all'apparenza, da pedalare. postura imperiosa su strade di galantuomini, ma anche di briganti. devo cercare un cappello adatto! come quelli che si vedono nei cataloghi in bianco e nero. bene, ora sono pronto. esco a far concorrenza agli altri equini, su questo asino d'acciaio!

lunedì 27 ottobre 2008

soffitte

la parola a Le Jim, ciclista d'altri tempi..

Questa è la storia di una soffitta, no. Anzi, questa è la storia d’un ritorno e d’una nuova casa.
D’una casa che ha anche una soffitta. Ad ogni modo questa è soprattutto la storia d’una bicicletta.
Quando mi diedero le chiavi di questa casa ancora non ci credevo, la casa è davvero enorme e vuota e camminandoci dentro sento i miei passi rimbombare.
Mi avevano detto che la casa aveva anche una soffitta, ma la vecchia inquilina non aveva consegnato più le chiavi o una roba così. Io intanto continuo ancora a camminare, assaporando il parquet che scricchiola sotto le suole e la sua eco. Soffitta. Già. Io amo le soffitte, meglio se abbandonate ed ingombre d’immondizia. Di cose polverose che qualcuno, reputandole inutili o inservibili, ha abbandonato ad un destino di discarica. Se hai mai chiesto alla polvere puoi sapere che a volte risponde, regalando sorprese che arrivano da un passato talmente remoto che si può solamente fantasticare. Ricordo anche di quando con gli amici si narrava di ritrovamenti in soffitte sgombrate, di quando qualche vecchietto davanti alla classica domanda: “Ma dove l’hai trovata ‘sta bici?!” mi rispondeva: “Mah…in una soffitta” oppure “In solaio, era del mio nonno-bis”.
Io, che in soffitta al massimo c’ho trovato solo qualche disco di grammofono oppure una vecchia scala, m’incazzavo sempre. Contro la sorte, contro le case senza soffitte o quelle con le soffitte chiuse a chiave da ’48. Ma chiedevo alla polvere da un bel pezzo.
Così sulla mensola accanto al contatore trovo tre vecchie chiavi, di quelle proprio vecchie e grandi, al limite del tascabile, ed i miei occhi s’illuminano, già solo per le chiavi.
Perché sono vecchie. Perché sono proprio belle.
Poi le sinapsi partono ed alla mente affiora l’immagine della porta delle soffitte, della toppa della serratura. Esco di casa e mi fiondo alle soffitte, che sono proprio accanto sul pianerottolo, senza neanche tirarmi dietro la porta.
Lì davanti mi rigiro le chiavi nella mano, continuando a chiedere, a sperare. E’ la seconda a far girare la serratura. Accendo la luce e mi si presenta un lungo corridoio con vecchie porte in legno speculari. Chiusa. Chiusa. Chiusa. Lucchetto. Chiusa. Ne trovo una aperta. Entro. Un sacco di porcheria. Scarponi da sci, specchi, cestini di vimini. La roba più vecchia avrà al massimo vent’anni. Un po’ triste esco e continuo a saggiare le porte. Ce n’è un'altra senza lucchetto socchiusa, c’è solo la sua vecchia serratura. Vecchie serrature…
Spingo la porta, speranzoso. Davanti a me si apre un grosso sottotetto quasi vuoto, solo qualche cavalletto ed i pezzi d’un mobile dai decori liberty. Mooolto vecchio… C’è un lucernaio sul tetto.
E’ sera e la luce flebile e timida si riflette su un cerchietto tondo, alla mia destra, tingendosi di rosso.
Una gemma.
Di più, una gemma su un vecchio parafango bianco che si finisce aprendosi in un aletta.
Un parafango Amerio?!?
Il cuore inizia a spingermi forte il torace.
Un parafango che abbraccia una ruota.
Una ruota montata su una bici!
C’è una bici!
L’ho trovata…la mia prima bici trovata in una soffitta! Cazzarola!
Mi avvicino piano, quasi con soggezione. E’ una bici da uomo. Da passeggio. A bacchetta. No, aspetta, non è a bacchetta, non ci sono le leve. Contropedale. Guardo il mozzo dietro, ma è buio e non si vede niente. Mi faccio luce con l’accendino. No, il mozzo è molto grande ed ha l’ingrassatore, sembra molto vecchio, ma non è un contropedale. Iniziano a mancare i pezzi…porcazozza! La passo al microscopio. Manubrio-telaio-corona-pedivelle-pedali-ruote-parafanghi. Ha delle bellissime farfalle a serrare le ruote. Pedali originali. Sul telaio c’è un adesivo, uno scudetto con su scritto “Cicli 1941”, almeno sembra… Polvere, un dito di polvere ovunque. Guardo il canotto, voglio la marca…Cicli…Cicli …Ita..a. Itala?! Ci passo su leggermente un dito, c’è un sacco di polvere, sorrido, soffio. Chiedi alla polvere. Penso a Fante. Sorrido…Cicli..Boh! Non si capisce perché la scritta s’è mezza cancellata.
Mi fermo. Accendo una sigaretta e sto lì dieci minuti buoni a guardarla…fantasticando.
E tu da dove arrivi? Chissà quanta strada hai fatto. Forse qualcuno t’ha comprata con un sacco di sacrifici per poter andare più comodamente a lavoro. Forse hai vibrato sotto il fragore sordo delle bombe e chissà quante scale hai fatto appoggiata alle spalle del tuo proprietario per andare al sicuro, dentro casa.
E poi t’avranno venduta e rivenduta arrangiata finché non hai trovato un padrone che, anche lui è riuscito a comprarsi a cambiali la seicento e t’ha abbandonata qua. Sola. Per tutti questi anni.
Ma ciao! Per quanto tempo hai aspettato che qualcuno ti trovasse!
Io. Hai trovato me. Chiamiamolo caso. Fattostà che t’è andata bene. Io t’ho trovata e prometto che ti pulirò dalla polvere, che toglierò quella fastidiosa ruggine, t’ingrasserò a dovere e ti regalerò un paio di scarpe nuove. Ti farò vedere che lì fuori c’è ancora un mondo. Forse un po’ diverso da come lo ricordi tu. Senza più tutti quei ciottoli, quella terra ed il fango. Senza il coprifuoco. Con un sacco di scatole di lamiera che puzzano e corrono così veloci che non immagini neanche; ma fatto anche di belle strade lisce e silenziose, fiancheggiate da alberi, che non aspettano altro di essere pedalate.

Le Jim